Il Cielo d'Ungheria

Le peregrinazioni e i pensieri di un Ingegnere che ha deciso di vivere un pezzo della propria vita nella terra magiara del Gulyas di Buda e di Pest, del Balaton, del Danubio. A Székesfehérvár.

giovedì, marzo 30, 2006

Classi Vuote.

"Hello"
"ByeBye"
"SeeYou"
"Szia"


Anche l'ultimo studente esce, e la classe in un attimo rimane vuota.


L'ultimo ragazzo è uscito e tu neanche hai fatto in tempo a dirgli no dai aspetta.
Ma là fuori per loro c'è tutto il mondo e i messaggini e il pomeriggio e la vita che vive fuori da quella classe.

E allora tu rimani lì solo.

La classe è vuota.
I banchi spostati le sedie storte.

La classe è vuota.
E anche tu ti senti svuotato.
Tiri il fiato.
Ti siedi sulla cattera.


Sì ti senti svuotato di energie voce movimenti.
Hai dato tutto hai cercato di far parlare parlato corretto spiegato conoscete il protocollo di kyoto perchè cosa ne pensi nessuno sa dirmi cosa sia quello che cosa voglia dire questo sapete perchè conoscete questa parola questo verbo questo aggettivo tu che cosa ne pensi perchè.

Hai le mani piene di gesso
i jeans pieni di gesso e come le tue mani i tuoi jeans ti senti asciugato come la tua voce la tua gola le tue energie che senti che da dentro si sono trasferite da qualche altra parte e ti chiedi trasferite dove e speri che siano state energie positive e che siano arrivate a quelle menti nuove a quegli occhi addormentati attenti ridenti annoiati appoggiati al banco alle mani all'amico all'amica al bisbiglio alla risata.

Speri che le energie che non ti senti più dentro siano servite siano arrivate, e le senti ancora aleggiare nell'aria tutte quelle parole energie, che la campanella ha interrotto a metà, sono ancora lì.
E' per questo che non vuoi uscire.
Come dal letto alla mattina.

No dai, un altro po'.
No, ok, ho sentito la campanella la sveglia la campanella.
Però no dai un altro po'.

Ma la classe è ormai vuota.
E tu ti senti sedotto seduto abbandonato ingessato assetato.
Con il gesso sulle mani.

Bisogna ripulire la lavagna.

F.

venerdì, marzo 24, 2006

Movimenti Affini.

A volte ti incammini, parti, vai.
A volte senti, senti dentro, lo hai sempre sentito forse.
Hai sempre sentito quella "cosa" dentro.
Che ti spinge, ti consuma, ti mangia.
A volte parti, torni, riparti, per seguirlo quel "qualcosa", quella inquietudine.
A volte ti incammini, parti.
Parti per scavare in Sicilia per la Spagna per l'Ungheria Szekesfehervar, parti perchè proprio quella cosa non la puoi (più) ignorare.

A volte parti.
E ogni partenza è un abbandono anche.
Si parte e si lascia qualcosa.
Lo sai, ne sei consapevole, ma proprio non ne puoi fare a meno.
Ignorare quel qualcosa è ignorare il tuo cuore, e proprio non si può ignorarsi.
A volte allora parti, ti incammini.
Da solo.
Perchè ogni Viaggio, se è un Viaggio vero, è un Viaggio solitario.
Da solo e sei solo.
E ti dicono di essere folle immaturo fuori-di-testa, di fuggire, anche se tu sai che non è così.
Ti chiamano anima-in-pena, e senti di essere solo tu a sentirti così.
A girare girarsi cercare cercarsi.
Pensi di essere il solo a sentire quell'inquietudine, quel "qualcosa" che ti spinge.
Solo tu, tu solo.

Però a volte.
A volte.
A volte incontri altre anime-in-pena.
Altri viaggiatori ricercatori, che sentono dentro quel qualcosa che non può essere chiuso in quattro mura, o nascosto.
Li spinge, li muove, come muove te, come un motore, sotto il cuore.
A volte viaggi, e incontri altri che come te viaggiano.
Ed è così incredibilmente confortante sentire di non essere folli, o di non essere i soli ad esserlo.
Di non essere i soli a girare girarsi cercarsi.

A volte incontri qualcuno che come te si muove e non può farne a meno, a volte incontri qualcuno che come te è spinto a viaggiare, da un cuore che proprio non si può fermare, a volte incontri qualcuno che come te cerca qualcosa, che non sa neanche cosa sia.

A volte li incontri, ognuno il proprio giro cammino ricerca.
Movimenti affini, affinità di ricerca.
A volte condividi con loro una parte del tuo cammino.

A volte incontri, i tuoi Compagni di Viaggio.

F.

mercoledì, marzo 15, 2006

15 Marzo.

Una festa nazionale, una festa sentita, partecipata, vissuta, da tutti gli Ungheresi.

Si commemora il 15 marzo 1848, e la rivoluzione popolare dagli Austriaci.

Come noi, e le nostre guerre di indipendenza risorgimentali e le 5 Giornate di Milano, anche loro hanno avuto la loro indipendenza
dagli Austriaci nel 1848.

Solo che poi, benché più blandamente, da loro sono tornati.

Analoghe storie, analoghe bandiere.

Ma da loro una storia che non è andata altrettanto bene.

Come alla fine della Seconda Guerra Mondiale.

Dopo il loro nazifascismo (croci frecciate, terribili) però loro hanno avuto un'altra tirannia, come ben sappiamo.


La storia millenaria dell'Ungheria è segnata da isolamento (in primis linguistico), e oppressioni.
Forse è per questo che nella musica nelle parole nei visi delle persone credo di vedere una vena di tristezza, dimessa, timorosa.
Malinconica anche.


Ma oggi l'Ungheria si alza fiera e un po' timida, ma sulle sue gambe, come non accadeva da secoli, e la sua bellezza è evidente, la sera con i lampioni in ferro battuto accesi, nelle luci del castello di Buda riflessi sul Danubio, nelle vie, nei palazzi, meravigliosi, di Pest, negli sguardi dei bambini e dei miei ragazzi a scuola, che sono ragazzi come ovunque con timidezze e speranze.

Ma con vivo negli occhi e nella spilletta tricolore sul petto un forte sentimento di orgoglio nazionale, e, a differenza dei
loro coetanei di pochi anni fa, nelle mani la propria vita, la propria libertà.

F.
LIBERTÀ, AMORE!

Libertà, amore!
Voglio queste due cose.

Per l'amore sacrifico

La vita,

Per la libertà sacrifico
Il mio amore.


Sándor Petőfi (1823-1849)

venerdì, marzo 03, 2006

Tikverozés, Carnevale a Moha.

Che belle sono le tradizioni.
Soprattutto quelle legate alla ter
ra alla storia alle persone alla vita.

Che bello quando le tradizioni continuano a esistere nonostante i computer i cellulari i blog i palmari.


Che bello quando sono i giovani i ragazzi i bambini che vivono le tradizioni e le leggende della terra in
cui vivono.
Ne portano nel futuro la memoria.


E a Moha di bambini ce n'erano così tanti, perchè il carnevale è una tradizione comune a molti popoli, ma poi ognuno ha la sua particolare versione e se a Valencia c'è Las Fallas, a Viareggio i carri, a Venezia le maschere, qui a Moha, un paesino vicino a Székesfehérvár, c'è Tikverozés.

Tanti bambini, e si festeggia la fine dell' Inverno (anche se fa ancora freddo).
Tantissimi bambini, tutti con la faccia dipinta di nero, nero di fuliggi
ne, e dipinta dai ragazzi del posto che si vestono di stracci e con maschere stranissime (c'era anche un mio studente e qui ne vedete un primo piano) e vanno in giro a dipingere e sporcare con la fuliggine le facce della gente e dei bambini che ridono tanto e si rincorrono e si tirano le palle di neve, perchè i bambini sono bambini ovunque e questa è solo una meraviglia.

Una tradizione antica, molto antica, che addirittura risale alla cacciata dei Turchi dall' Ungheria, e questi strani figuri facendo versi strani vanno di casa in casa, dove i contadini e la gente del paesino li accoglie, magari offre qualche frittella (a carnevale il fritto, un'altra cosa costante), ma soprattutto dona simbolicamente delle uova ad uno dei ragazzi vestito di stracci, come buon auspicio per l'anno seguente, ed è interessante come l'uovo sia un simbolo ricorrente in tantissime culture, simbolo della vita stessa, della nascita, della rinascita.

Che bello.


Avevo tutta la faccia nera, e ho riso un sacco.


F.